TESTIMONIANZE



     Agli eventi di origine non naturale esposti in questa pagina va prestata una fede solamente umana. Il giudizio finale sulla loro autenticità spetta alla Chiesa.



                                                                               
                                                                                 


     Ero sul punto di morire; ma riuscii a gridare: “Suor Rita, vedi che io muoio! All’istante ella fu in volo da me! L’abbracciai e la strinsi forte forte. Appena scomparsa, mi sentii guarita. Visitandola al suo monastero, ella mi disse: “Suor Pia, ricordati che hai ricevuto un grande miracolo”.
                                                                                                                                          Suor Pia Montanelli



                                                                              



     Mio figlio Massimiliano, in un incrocio, scontra col motorino contro una Panda. Nell’impatto vede all’istante Suor Rita che lo prende tra le braccia e lo mette a terra. Il motorino rimane distrutto, lui riporta solo una lieve tumefazione al volto.
                                                                                                                                          Arcangelo Aurino


                                                                              



     Durante una notte di primavera del ’65 mi ritrovo in un vero pericolo di vita. Improvvisamente compare Suor Rita che si avvicina al mio letto. Pone una mano dietro la mia testa per alzarla; poi mi bacia e scompare subito. All’istante mi sento guarita.
                                                                                                                                          Irene Romualdi



                                                                              




     A mia figlia Anna, nata nel 1952, sin dai primi della scuola elementare le comparve nella guancia una “piaga purulenta”. Per lungo periodo la trattammo con cure piuttosto empiriche, che non diedero il risultato atteso.
Fu deciso, poi, di portarla da Suor Rita, che era stata già informata di quel “disturbo”. Appena arrivati nel monastero di Santa Croce sull’Arno la Madre Abbadessa aprì il portone interno del parlatorio perché potessimo avere un saluto diretto da Suor Rita. Appena si avvicinò a mia figlia Anna Suor Rita le passò delicatamente la sua mano sulla piaga, che scomparve subito. Da allora mai più ne è stata infastidita.
                                                                                                                                         Giacomina Paparo



                                                                              




     Mio figlio Dario, all’epoca del fatto aveva circa 10 anni. Era un ragazzo di sana costituzione e, fino ad allora, non aveva destato alcuna preoccupazione. Le sue giornate erano scandite da attività scolastica e sportiva. La drammatica vicenda scoppiò d’improvviso e senza significativi preavvisi.
     Era il 13 maggio 1990 e tutta la nostra famiglia, composta da quattro persone, era riunita. Lancinanti dolori addominali, accusati da Dario, furono le prime avvisaglie di una vicenda che avrebbe sconvolto quella serena atmosfera familiare. Ci si preoccupò, ma non più di tanto. In questi casi si tende a sottovalutare le cause di quei sintomi, attribuendole, nella migliore delle ipotesi, a possibili scorpacciate di dolci o ad una cattiva digestione.
     Il responso della prima visita sembrò avallare una delle su accennate ipotesi. Il medico di famiglia, al quale ci eravamo rivolti noi genitori il giorno dopo, attribuì quei dolori ad un semplice mal di pancia. Consigliò, infatti, delle supposte di glicerina per liberare l’intestino.
     Le cose peggiorarono il giorno dopo. I dolori aumentarono ancora di più ma si localizzarono dalla parte del polmone sinistro. Incominciava a farsi strada un sentimento di impotenza misto a disperazione.
Lo riportammo dal medico che, smentendo quello che aveva supposto il giorno prima, prescrisse un immediato controllo radiografico al torace.
     Il radiologo, nel fare le lastre, si rabbuiò un tantino. Avendo riscontrato qualcosa che non andava nella regione dell’intestino consigliò una immediata “diretta addome”. Il risultato di questo ulteriore accertamento fu: presenza di un valvolo intestinale. Il riscontro di questa patologia ci spinse a richiedere un immediato ricovero, previa visita chirurgica. Era il 16 maggio e Dario fu ricoverato presso la Clinica Lourdes di Massa di Somma (Na).
   
Essendo particolarmente legati ad Arcangelo e Sofia confidammo le nostre preoccupazioni e chiedemmo di interpellare suor Rita.
    
Arcangelo si attivò subito e telefonò a Suor Rita quello stesso giorno, 16 maggio. La parole della Suora alle sue preoccupanti domande furono oltremodo succinte e non allarmanti.
    
“Il suo è uno stato congenito. Pregherò per lui. Dì ai genitori di fare lo stesso”.
    
Le stesse parole rassicuranti ci furono rivolte da Arcangelo, il quale, invitandoci a pregare di più, ci consegnò alcune preghiere ricevute da sua Zia e che erano dirette al Gesù Bambino di Praga.
    
Intanto Dario fu tenuto in osservazione per due giorni, dopo di che si decise di intervenire chirurgicamente. Era il 18 maggio.
    
Quella giornata c’erano parecchi pazienti in lista di attesa. L’intervento su Dario fu programmato come ultimo della giornata. I medici confessarono che non prevedevano assolutamente né l’esito né la durata. Dalle analisi del sangue fatte quei giorni si riscontrava una leucocitosi.
    Comunque sia l’intervento chirurgico, durato parecchio, riuscì perfettamente. Dall’intestino dovettero asportare numerose ghiandole ormai marcite. Il ragazzo, se tutto si fosse normalizzato, avrebbe dovuto sottoporsi ad intense cure mediche. C’era, infatti, un sospetto di leucemia.
    
Per qualche giorno la situazione sembrò calmarsi. Invece il 22 Maggio, festa di S. Rita, Dario ebbe delle violente convulsioni e fu trasferito nella sala di rianimazione dell’Ospedale Santobono di Napoli.
    
Proprio quel pomeriggio del 22 maggio, Arcangelo telefonando a Suor Rita per gli auguri, si sentì dire:
    
“Dì a tua cognata di aver coraggio e di pregare con più fede. Falle recitare quella novena che le hai dato. Io starò vicino a lei quando pregherà!”.
    
Passatoci l’invito Isa fece come le era stato consigliato. Mise la preghiera nella borsetta ed ogni tanto la prendeva per pregare.
    
Intanto, appena arrivato all’Ospedale Santobono di Napoli, Dario fu subito sottoposto ad un esame elettroencefalografico. L’esito evidenziò una sofferenza al lato destro del cervello, per cui si sospettò una possibile localizzazione tumorale. Sottoposto a TAC, questa dette esito negativo. Di fatto essa doveva essere effettuata con il cosiddetto contrasto. Ciò non fu possibile perché le transaminasi erano altissime. Da ciò la possibilità di trasferirlo all’Ospedale Cotugno di Napoli, specializzato in malattie infettive. Sottoposto a nuove analisi per verificare la presenza di epatite, queste dettero esito negativo. Non c’era presenza di markes.
    Dario, di contro, peggiorava giorno per giorno ed era diventato un autentico rompicapo per i medici. Ogni giorno un sospetto nuovo. Riassumendo: mal di pancia; volvolo intestinale; leucocitosi; leucemia; tumore al cervello; epatite. Dulcis in fundo: meningite.
    Fu sottoposto a puntura lombare, che dette esito negativo. Nel frattempo aveva sempre la febbre e accusava dolori per tutto il corpo. Il solo sfiorarlo gli causava sofferenza.
    In questo clima di ininterrotta angoscia, attenta alle raccomandazioni avute, non smettevo di pregare giorno e notte.
    La sera del 5 giugno, forse ispirata dall’alto, resami sempre più conto della estrema gravità, mi rivolsi a Dario dicendo:
“Dario, preghiamo insieme e vedrai che Gesù Bambino ti farà guarire!”.
    
Presi dalla borsetta la novena e iniziammo a recitarla insieme. Appena terminata, Dario ebbe come un brivido per tutto il corpo. I dolori erano scomparsi e poteva finalmente muoversi. Il Bambino Gesù aveva concesso la grazia in virtù della intercessione di Suor Rita, che ci aveva accompagnati nella preghiera. Di questo, anche mio marito Pasquale, ne siamo fortemente convinti.
    
Dopo qualche giorno, non essendoci più necessità di rimanere in ospedale, Dario chiese di essere dimesso, anche contro il parere dei medici, che non ci capirono nulla.
                                                                                                                                       Iescone Elisabetta



                                                                             



    Nel 1985, con rigoroso esame istologico (Controllato anche all’istituto Nazionale dei tumori di Milano, all’Ospedale Maggiore della stessa Milano e all’Ospedale di Bologna) mi fu diagnosticato un “linfoma” non Hodghin su di una neoformazione che mi era stata asportata a Saronno. La prognosi era infausta e mi fu detto che mi rimanevano solo sei mesi di sopravvivenza.
    Consultando quasi subito Suor Rita su questo gravissimo caso (stimato umanamente irreparabile) mi rispondeva con tono quasi profetico che “me la sarei cavata”. Con nostra somma meraviglia fu veramente così.
                                                                                                                                           Dottor Giorgio Burani



                                                                               




    Nel febbraio del 1956 mio figlio Paolo subì un’operazione gravissima. Il Prof. Frugoni aveva detto che era necessario togliere il rene destro a motivo dei calcoli che ne impedivano il funzionamento. Scrissi subito una lettera che feci pervenire a Suor Rita per mezzo della signorina di Bologna Emiliana Guidotti. Appena letta la lettera, la suora le aggiunse: - Il rene non si toglie - . E così fu. In luogo dei calcoli si trovarono delle cisti. Il rene fu pulito e rimase al suo posto, riprendendo perfettamente le funzioni dopo due giorni.
                                                                                                                                                Luisa Falchi



                                                                               




    Tra i miei ricordi di Suor Rita vi sono diversi interventi che hanno apportato o favorito la guarigione da infermità sopraggiunte nel corso della vita. Uno fra i mille fu quello del fastidio d’una “sporgenza” sorta vicina alla tiroide. Ne fui liberata proprio come lei mi aveva segnalato.
                                                                                                                                    Maria Francesca Moreni



                                                                               




    Tra il mese di novembre e il mese di dicembre del 2000 ho vissuto un’altra esperienza straordinaria che si è snodata attraverso due episodi di fondamentale importanza, aventi come protagonista la mia cara Suor Rita.
Il primo di questi riguarda un suo intervento nei confronti di mio zio Santolo La Rocca. Questi, sino ad allora, non la conosceva, né, tanto meno era al corrente delle preghiere che giornaliermente, io e mia madre rivolgevamo a lei per ottenergli la grazia della guarigione.
    Zio Santolo era stato colpito venti anni fa da un violento infarto che gli aveva diviso il cuore a metà. Nonostante ciò, nel corso degli anni la sua situazione andò stabilizzandosi e questo determinò in lui un disinteresse crescente. Fino a qualche anno fa non si era preoccupato né di fare controlli né di sottoporsi a quelle analisi necessarie a cui tutti i cardiopatici si sottopongono.
    Dal 1999, purtroppo, incominciò ad accusare un dolore al braccio, accompagnato da ansia, apatia, mancanza di forze.
    Da allora numerosi sono stati i ricoveri in pronto soccorso ma i medici non riscontravano nulla di preoccupante. La diagnosi era, per lo più: “Stato di ansia”. Questo fino al ricovero effettuato nel novembre dello scorso anno.
    
Il cardiologo della Clinica Villa Betania di Ponticelli, che visitò lo Zio al momento del ricovero, diagnosticò un infarto in atto. Fu ricoverato d’urgenza. Questa degenza, durata pochi giorni, ebbe il merito di calmare il dolore ma non risolse il problema. All’atto delle dimissioni i cardiologi furono estremamente chiari. Dissero ai familiari che la situazione era veramente critica e l’unica cosa che potevano fare era quella di portarlo in ospedale quando mio zio avvertiva dolori.
    Ritornato a casa ricominciarono subito le crisi e mia zia si spaventò enormemente. Pensò di ricoverarlo all’Ospedale Monaldi di Napoli, un nosocomio attrezzatissimo per le malattie cardiorespiratorie.
    Per entrare, però, in tale ospedale erano necessarie due cose:1. La Richiesta di un cardiologo, avallata dal Medico di Base. 2. Una prenotazione obbligatoria e subordinata alle gravità patologiche.
    Al momento, perciò, mia zia non era in possesso di nessuna delle due condizioni. Per ragioni economiche, mio zio non era stato mai seguito da un cardiologo. Prenotazioni a suo nome non erano state fatte.
    Nonostante ciò, con estremo coraggio, mia zia provvide ad un ricovero in pronto soccorso. Il Custode dell’Ospedale Monaldi non voleva consentire l’ingresso e mia zia, mostrando la gravità del caso, in quanto mio zio quasi non respirava più, e chiedendo pietà, riuscì ad ottenere che fosse almeno visitato. Era di guardia il Dottor Di Benedetto che, visitatolo, lo ricoverò d’urgenza in sala di rianimazione. Qui è rimasto per 5 giorni. Appena si riprese un po’ fu trasferito in reparto dove iniziarono a praticargli una serie di analisi onde decidere il da farsi.
    Dopo due settimane circa di degenza il responso delle analisi fu del tutto negativo. Il Dottor di Benedetto disse con estrema franchezza che mio zio non poteva operarsi, considerando la sua estrema gravità. In effetti poteva morire durante l’operazione. In percentuale c’era solo un 5% di riuscita. Andando avanti con la terapia, se la percentuale saliva al 50% si poteva tentare. In caso contrario potevano solo attendere e limitare le sue sofferenze.
    Avuto questo responso mia zia si confidò con mia madre, Anna Criscitiello, e le manifestò tutta la sua disperazione. Era veramente distrutta.
    Mia madre, allora, le diede un’immaginetta di Suor Rita e le disse:
“Prega! Ora hanno parlato i medici! Ora spetta a Dio dare la sua sentenza!”.
    
Così in famiglia iniziammo a pregare Suor Rita, nostra concittadina. Molte sono state le suppliche che le abbiamo rivolto, io, mia madre e mio padre, fratello dello zio Santolo. Anche tutti gli altri momenti di preghiera, le Adorazioni in primo luogo, erano tutti vissuti allo scopo di ottenere la guarigione.
    
Un giorno, era all’inizio di Dicembre, mia zia incontrò in Ospedale il Primario della Cardiochirurgia, Professor Cotrufo, al quale chiese se poteva esaminare direttamente Lui il marito.
    Il Primario acconsentì. Dopo la visita, inizialmente, la sentenza fu la stessa. Di variante ci fu soltanto questo: Il Professore volle sottoporlo ad un ulteriore esame. Se da questo esame fosse risultata una percentuale del 40% in più delle probabilità precedenti, lo avrebbe sottoposto a intervento chirurgico.
    L’ansia fu tanta nell’attesa dei risultati, come tanta fu la preghiera di quei momenti.
    
La notte precedente all’esito di quell’esame, io, Marianna La Rocca, sognai una suora. La vidi in penombra ed aveva i tratti e le fattezze di Suor Rita. Io ero a letto che riposavo. Lei procedeva verso di me ed aveva in una mano dell’olio benedetto. Si avvicinò, mi prese per un braccio e mi disse: “Tè, la Grazia te l’ ho fatta!”, e cosparse il mio capo con quell’olio, facendo una croce anche sugli occhi.
    Quando mi svegliai non compresi subito cosa avesse voluto significare con quel gesto. Pensai che la grazia riguardava me e non mio zio.
    Comunque io e mia madre ci recammo in ospedale per conoscere l’esito di quell’esame. La risposta fu la seguente:
“Le possibilità di riuscita sono aumentate, perciò lo operiamo domani (Giovedì mattina)”.
    
E così fu. Ma le preoccupazioni non erano finite.
    Durante l’intervento le cose si complicarono. Mio zio non reagiva positivamente.
    Un infermiere, amico del genero di mio zio, cercò di fare avvisare i familiari per prepararli al peggio.
    All’improvviso, poi, tutto cambiò. Ci fu una svolta che neppure i medici hanno saputo spiegare.
    Mio zio ha avuto tre bye pass.
    Quando uscì dalla sala operatoria compresi a pieno il significato del sogno della notte. Suor Rita mi voleva avvertire che tutto sarebbe andato bene.
    
Dopo 7 giorni di degenza mio zio fu dimesso dall’ospedale.
    A distanza di qualche mese, ringraziando prima Dio e poi Suor Rita, conduce una vita normale.
    Ogni qualvolta i medici lo visitano gli ricordano sempre che è stato un miracolo.
                                                                                                                                                 Marianna La Rocca



                                                                              




    Io Concettina Rossi, moglie di Luigi Montella, nipote di Suor Rita, in coscienza sento il dovere di testimoniare quanto segue.
    Era il mese di agosto 1989. Mio fratello Giorgio Rossi fu ricoverato all’Ospedale Monaldi di Napoli il giorno 18/08/89 per essere sottoposto ad intervento chirurgico. Gli si doveva sostituire l’aorta femorale con un by pass.     Questa operazione era una naturale conseguenza dell’infarto avuto otto anni prima appena trentacinquenne.
    Io già telefonavo alla Zia (Suor Rita) prima del ricovero. Le chiedevo aiuto nella preghiera, sapendo la gravità dell’intervento. Lei, con le sue dolci parole, mi assicurava che tutto sarebbe andato per il meglio, anche se avrebbe sofferto tanto, perché l’intervento era delicato e abbastanza grave.
    Vivevamo giorni d’angoscia, già provati per la perdita di nostro padre Antonio, quarantacinquenne, causata da infarto nel 1967.
    Lei, con la sua dolcezza, per me unica, mi diceva queste parole: “La sofferenza purifica il cuore! Lo perfeziona!     Noi dobbiamo portare la nostra croce con coraggio e con amore! Non dobbiamo lasciarla cadere perché sarà lei che ci alzerà (condurrà) verso la beata eternità!”
    Mio fratello fu operato il giorno 22 agosto dall’Équipe del Prof. Cotrufo. L’intervento durò molte ore. Dalla sala operatoria fu trasferito nella rianimazione e infine nel reparto di terapia intensiva. Soffrì veramente tanto! Era intubato e immobile e a noi non era permesso di avvicinarlo, ma solo guardarlo dal vetro della porta. Nel guardare mio fratello in quei giorni compresi ancor di più che nella malattia la vita acquista un valore più intenso. Si assapora fino in fondo quello che si sta per perdere o che si allontana da te. E’ proprio allora che si fa esperienza della Misericordia di Dio! Egli cambia in un momento le lacrime della disperazione nel sorriso della speranza!
    Quando ci fu permesso di avvicinarci, mi raccontò che in sala operatoria e in rianimazione c’era una suora che, tenendolo per mano, lo accarezzava e gli parlava dando al suo cuore tanto conforto.
    Nei lunghi giorni di convalescenza scendeva in cappella con la speranza di rivedere quella suora e poter di nuovo ascoltare le sue dolci parole. Ma non la rivide più! Cercava una suora con un abito scuro. In quell’ospedale c’erano solo suore con l’abito bianco!
    Il fatto aveva già dell’incredibile, ma immaginate la nostra gioia quando, tre anni dopo la morte della zia, mio fratello, trovandosi a casa mia, si alzò di scatto e mi chiese chi era quella suora raffigurata in una foto poggiata sul televisore. Gli risposi che era Suor Rita, la cara zia, e che era morta di recente.
    Lui mi sembrò che non ascoltasse le mie parole. Fissando intensamente quella foto, con gli occhi colmi di lacrime, disse: “Questa è la suora che mi era accanto in sala operatoria e in rianimazione! Era proprio come sta in questa foto, vestita con l’abito scuro!”
                                                                                                                                                 Concettina Rossi




                                                                              




    Mi chiamo Domenico Cesarano. Ho 56 anni ed abito a Pompei alla Via Messigno 288. Sono coniugato felicemente con la Sig. ra Maria Rosaria Salvati. Lavoro presso il Comune di Pompei e ho due figli .
    Sono stato affetto da oltre 25 anni da una fibrosi epatica che, per le conseguenze derivanti dalla sua cronicità, spesso ha creato complicazioni tali da far temere per la mia stessa vita. Con l’aiuto di Dio, però, sono sempre riuscito a riprendermi.
    Il 6 aprile del 2005, dopo un esame di routine, purtroppo mi fu diagnosticato un carcinoma epatico. Pur avendo molta fede in Dio, tale drammatica notizia fece crollare ogni mia residua fiducia e speranza. Dopo tanti anni di sofferenza, che avevano minato moltissimo la mia mente e il mio fisico, non avevo più nessuna voglia di sottopormi a terapie debilitanti.
    Ma passarono solamente pochi giorni da questo comprensibile sconforto. Decisi, infatti, che non dovevo arrendermi contro il male. Per il bene che volevo alla mia famiglia, dovevo continuare a lottare.
    Per circa un anno mi sono sottoposto a dolorosi cicli di chemioembolizzazione al Policlinico di Milano. Successivamente mi sono spostato al Policlinico di Bologna per essere seguito diversamente e inserito nella lista di attesa per il trapianto di fegato.
    Nel frattempo si era formato un nuovo nodulo che, con estrema e preoccupante velocità, aveva raggiunto le dimensioni di circa 3,5 cm. Per aggredirlo con una procedura diversa, ossia più ardita, mi venne programmato un ulteriore ricovero a Bologna per il giorno 29 Gennaio corrente anno.
    Nei primi giorni di questo anno, trovandomi presso la farmacia del quartiere Messigno di Pompei, dove abito, mi trattenni in dialogo con la titolare, Dottoressa Maria del Rosario Steardo. Le parlai della mia dolorosa situazione, manifestandole tutta la mia preoccupazione per quanto stavo vivendo. Lei mi ascoltò con interesse e partecipazione. Prese dalle sue carte, regalandomelo, un libro in cui viene raccontata la vita di Suor Rita dello Spirito Santo. Nel consegnarmelo non fece alcuna raccomandazione, né espresse alcun giudizio. Lo presi e lo portai a casa. Non lo lessi ma lo diedi a mia moglie, la quale cominciò subito a sfogliarlo. Pur rimanendo molto colpita da alcuni episodi, rimase stupita dal fatto che di questa suora, nata a Cercola (NA) e vissuta come monaca nel Monastero agostiniano di Santa Croce sull’Arno (PI), non si era mai sentito parlare nella nostra zona. La sua vita umile e nascosta, vissuta nella sofferenza per amore di Gesù e dell’umanità, fu, per lei, un elemento di grande edificazione.
    Nel frattempo si avvicinava il giorno in cui dovevo recarmi a Bologna per essere sottoposto a quella nuova procedura, di cui ho accennato precedentemente. E in tale attesa si inserisce un episodio che, per me e per la mia famiglia, ha dello sconvolgente.
    Era la sera di venerdì 20/01/07, Stavo in cucina con mia moglie e mio figlio. Erano le ore 20.30 circa. Improvvisamente ebbi il desiderio di andare in camera da letto per prendere un libro di preghiere. Mentre mi accingevo ad entrare nella stanza, mi fermai all’ingresso per accendere la luce. Ma, prima di poterlo fare, vidi nelle vicinanze del mio letto una suora inginocchiata che pregava. Accortasi della mia presenza, sempre in ginocchio, si diresse verso di me che stavo sull’uscio della porta ed ostruivo il passaggio. Ci guardammo per alcuni secondi ed io, intuendo che lei volesse passare, mi feci da parte per consentirle l’uscita. La seguii con lo sguardo per vedere quale direzione prendesse ma, l’immagine scomparve dalla mia vista. Tornai in cucina da mia moglie e da mio figlio e raccontai loro l’accaduto, pregandoli di non giudicarmi un pazzo.
    I miei familiari, increduli, mi chiesero maggiori spiegazioni ma io non sapevo dare un’esatta identificazione alla Suora che avevo visto, anche se il suo volto mi era rimasto bene impresso perché era liscio e senza rughe.
Allora mia moglie andò a prendere il libro di Suor Rita Montella, che ancora non aveva finito di leggere, e me lo mostrò.
    A quel punto mi resi conto, senza ombra di dubbio, che la Suora da me vista era proprio quella raffigurata sulla copertina del libro.
    Dopo tale identificazione non dicemmo più nulla, ma intensificammo le nostre preghiere al Signore.
    Il giorno 29/01/07 mi ricoverai a Bologna, accompagnato da mia moglie. Questa fu alloggiata presso un Istituto di suore, vicino al Policlinico.
    La notte successiva, quella che precedeva la procedura programmata per localizzare ed isolare il nodulo, mia moglie sentì la presenza rassicurante di Suor Rita. Infatti, per tutta la notte, vide un’ombra di una suora vicino a lei nel letto. Non riuscì a vederla nel viso ma era certa che si trattasse di Suor Rita. Alzatasi la mattina, vide la suora andare via e corse da me per raccontarmi tutto. Sembrava proprio che Suor Rita non voleva lasciarci soli in quel momento di grande difficoltà.
    Il 31/01/07 fu eseguita la procedura programmata che diede un buon risultato. La stessa venne ripetuta il giorno seguente. Avrei dovuto sottopormi ad ulteriori procedure, ma non fu necessario in quanto l’intero nodulo era stato distrutto in quelle uniche due sedute. Fui dimesso e rientrai a casa dopo una settimana circa. Nel contempo mi fu programmata per il 5 marzo 2007 una TC Addome completo S/MDC con studio bifasico (fegato, pancreas).
    Nel frattempo, alla metà del mese di febbraio, ebbi un’altra sorpresa. Durante la notte tra il 16 e il 17 sognai Suor Rita che mi diceva: “Il Signore ti dà questo peso per farti capire quanto è bella la vita”.
    Dopo essermi sottoposto in data 05/03/07 alla Tac programmata precedentemente al Policlinico di Bologna, tornai a casa con una accresciuta fiducia e speranza.
Passarono molti giorni e, non ricevendo notizie, incominciai a preoccuparmi nuovamente. Quando non me lo aspettavo più, in data 27/03/07 ricevetti una telefonata dal reparto di Epatologia ed il medico mi informò che il controllo T.A.C. aveva confermato la totale distruzione del nodulo e, cosa di estrema importanza, in quel momento non risultavano nuovi focolai di infezione. Mi diceva, inoltre, che questi risultati positivi non sono frequenti, infatti le dimensioni e la veloce evoluzione di questo nodulo erano state per lui fonte di grosse preoccupazioni.
    Questa notizia generò in me e nella mia famiglia grande serenità e grande speranza. Era come se fossi rinato.
    Il tempo, che mi separava da ulteriori accertamenti ed analisi, l’ho trascorso senza affanni e in fiduciosa attesa.
    Ho effettuato un ulteriore ricovero al Policlinico S. Orsola – Malpighi di Bologna in data 10 maggio. I risultati sono stati del tutto negativi in relazione alla patologia precedentemente sofferta. In fase di dimissioni mi fu prenotato un ulteriore controllo per il 6 settembre c.a. anche questo controllo ha avuto lo stesso esito del precedente.
    Dicendomi a disposizione per ulteriori delucidazioni e per l’invio della documentazione necessaria, mi dico Figlio devoto della Chiesa chiedendo a Suor Rita la sua continua intercessione presso il Signore per me e per tutta la mia famiglia. Possa continuare ad essere strumento di salvezza nella mani di Dio, come è stata durante tutta la sua vita.                       
                                                                                                                                      Domenico Cesarano




                                                                              





    Madonna dell’Arco, 07/03/08: oggi, venerdì 7 marzo 2008, a circa due mesi dall’inizio dell’evento che ha rinnovato certe esperienze, segnando profondamente me e tutta la mia famiglia, mi accingo a fissarne in scritto i punti essenziali.
    Il nuovo “calvario” è iniziato il giorno 18 gennaio scorso, quando mio figlio Matteo ha avuto i primi sintomi di una febbre premonitrice di dolorosi accadimenti. Era di venerdì e, fino a domenica 20, la febbre non accennava a diminuire. Decidemmo così, io e mio marito Rino, di chiamare la “guardia medica”. Dopo una veloce visita il Medico diagnosticò a nostro figlio “influenza con placche alle tonsille”. Nel contempo Matteo aveva accusato anche dei forti dolori ai denti, che il medico non relazionò alla dentizione bensì ad una leggera “afta sublinguare”.
    La terapia consigliata fu la somministrazione di un antibiotico, “Panacef”, assunto, per tre giorni, in concomitanza con il “Bentelan”, prescritto telefonicamente, e in precedenza, da un altro medico. Matteo, però, peggiorò notevolmente. Non mangiava nulla, e ribadisco “nulla”, e beveva solamente con la siringa.
    Non avendo più fiducia della guardia medica, lunedì 21 portammo Matteo all’Ospedale “Apicella” di Pollena Trocchia. Erano le 21.00 di sera. Dopo averlo visitato mi prescrissero, come da referto, di continuare la terapia con il “Pancef”. Nel frattempo nostro figlio aveva accusato anche dei dolori allo stomaco, per i quali diagnosticarono una lieve gastrite da curare con uno sciroppo: il “Maalox”.
    Io e mio marito ritornammo a casa con un senso di angoscia. Non vedevamo nessun miglioramento, anzi, la situazione peggiorò.
    Alle 15.00 del giorno successivo decidemmo di ricoverarlo all’ospedale “Santobono” di Napoli, specializzato in pediatria. A Matteo si gonfiarono enormemente le gengive che ricoprivano i denti. Sulla lingua erano apparse tante bolle che la ingrossarono a dismisura.
    Nonostante tutto questo i medici del pronto soccorso del “Santobono” mi dissero che io ero solamente una madre apprensiva e che Matteo non era da ricovero. Nostro figlio, per loro, aveva solamente una infezione alle tonsille. Non presero neppure in considerazione l’ “afta sublinguare” e il gonfiore alla bocca. Io e mio marito tornammo a casa con un senso di angoscia ancora maggiore.
    Il giorno successivo, 23 gennaio, telefonammo alla nostra dentista di fiducia che, prescrisse 2 altri medicinali. Nel frattempo cercavamo di nutrirlo, anche se appariva impossibile. Gli preparammo un po’ di pastina “Plasmon” ma Matteo ne prese solamente un cucchiaio. Subito dopo si mise a letto, non riuscendo più ad alzarsi.
    La Pediatra di Matteo, interpellata anche lei subito per una visita urgente, venne il 24, proprio come aveva promesso. Appena lo guardò, si impressionò notevolmente in quanto lo vide eccessivamente dimagrito: aveva perso 7 Kg. In 7 giorni. Matteo era rannicchiato nel letto e senza forze. Pur diagnosticandogli una “Stomatite” non ritenne necessario un ricovero ospedaliero.
    Guardando Matteo, anche se incominciavo a disperare, iniziai maggiormente a pregare. Appena iniziata la crisi il venerdì precedente, mia madre provvide a mettere sotto il suo cuscino una immaginetta di Suor Rita dello Spirito Santo. Guardandola, pregavo intensamente chiedendole di intervenire presso il Signore. (In alcuni momenti, però, sembra che il “Cielo” si chiude per respingere le tue invocazioni. Sappiamo, invece, che proprio allora si apre di più per avvolgerti con la “Sua Potenza e Misericordia”.)
    Proprio quel giorno 24, alle ore 16.00, Matteo fu preso da convulsioni. Balzava sul letto come se era preso da scosse elettriche; poi si irrigidiva ed andava in apnea. Dalla bocca usciva saliva sotto forma di schiuma e divenne cianotico. Nel giro di 10 minuti, con l’aiuto di mia sorella Monica, lo trasportai nuovamente all’ospedale “Apicella”. Il responso fu il solito. Secondo i medici del pronto soccorso avrei potuto riportare mio figlio a casa subito dopo la conclusione di quella crisi. Incominciai a perdere la pazienza e strillai con tutte le mie forze protestando la superficialità di quella diagnosi e respingendo le false rassicurazioni di non preoccuparmi. Era possibile che solamente io vedevo la gravità di mio figlio?
    I minuti passavano e non si vedeva miglioramento. Dopo due ore di ricovero mio figlio continuava a delirare e aveva le allucinazioni. Non mi vedeva ed io ero davanti a lui. Scalciava e diceva: “Mamma dove sei? Chi è? … Chi è ?”.
    Constatando, finalmente, la gravità del caso e la necessità di sottoporlo a visita neurologica, i medici decisero di trasferirlo al “Santobono”, in quanto lì non vi era disponibilità. Erano le 18.00. Arrivati al Santobono, che si trova al quartiere Arenella di Napoli, Matteo fu subito sottoposto a visita neurologica. Il Dottore subito gli diagnosticò una probabile “Encefalite”. Per l’impossibilità di curarlo lì lo spostarono al “Cutugno”, primario ospedale per le malattie infettive. Erano le 21.00 e dopo due ore, alle 23.00, arrivò un primo responso: “meningo-encefalite”. Il tipo, però, sarebbe stato individuato successivamente. Mi rivolsi alla Dottoressa Rescigno per chiederle quando mio figlio poteva riprendersi. La risposta fu drammatica e scioccante. Mio figlio era grave e la malattia era all’apice. Il giorno successivo si poteva avere un quadro più preciso.
    Nonostante la disperazione, continuai a pregare Suor Rita con maggiore intensità e frequenza. La sua risposta fu immediata.
    Già durante quella notte Matteo mi chiese dell’acqua, ma rimase in uno stato confusionale per altri 4/5 giorni, come si evince dal quaderno clinico.
    Nel prosieguo della notte non cessai di invocare Suor Rita. La chiamavo e richiamavo disperatamente. Le chiedevo di baciare Matteo. Improvvisamente ebbi una forte sensazione, che definirei in modo diverso, tanto fu concreto quello che sentii. Mi sentii abbracciare stretta stretta e con grande forza. Se prima mi sentivo sola, da allora non più.
    La notte seguente, uscendo dalla cameretta dove era mio figlio per chiamare l’infermiere, vidi in fondo al corridoio, in penombra, una suora con le fattezze di Suor Rita, ma non mi soffermai più di tanto perché ormai avevo la certezza che lei era lì con me. Ne ero certa, perché in me sentivo una sicurezza e una serenità che non provavo da troppo tempo.
    In alcuni momenti, è vero, ho dubitato. Vedevo i medici dare risposte diverse da quelle che speravo. In effetti la prima vera diagnosi fu: “Encefalite erpetica”. La sua natura virale doveva essere devastante. E invece subito si riprese. Quella notte del 24, così buia per tanti versi, è stata invece luminosa.
    
La cartella clinica è composta di 53 fogli e spiega tutto chiaramente.
    Siamo stati dimessi il 12 febbraio con diagnosi certa di “Encefalite erpetica”.
    Il 27 febbraio, ad un ulteriore esame, l’elettroencefalogramma è risultato quasi nella norma. Tale risultato è stato confermato il 4 marzo.
Il neurologo Dott. Buono, studiando l’ultimo elettroencefalogramma e esprimendo grande stupore e meraviglia, ha definito Matteo un bimbo con uno stato di buona salute. Egli, da medico esperto in materia, ha avuto una certa renitenza nel credere che la diagnosi per Matteo fosse di “Encefalite erpetica”. Tale “infezione” non poteva che essere devastante ai fini della salute mentale e generale del bimbo.
    
Forte anche di questo giudizio non mi resta che ringraziare ancor più Suor Rita per la intercessione verso Gesù.     Ringrazio anche tutti coloro che con noi e per noi hanno pregato.

                                                                                                                        In Fede   Marianna La Rocca